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Una furbata politica e fiscale: tasse più basse, ma a una sola condizione | Così lo Stato sta fregando i cittadini

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni (Facebook foto) - www.financecue.it

Dietro la promessa di un’aliquota più bassa si nasconde un vincolo che rischia di azzerare il beneficio per la maggior parte dei proprietari.

Chi si è trovato, anche solo per una volta, a gestire un affitto breve, sa bene quanto il settore sia diventato competitivo e complesso. Le piattaforme digitali hanno rivoluzionato le regole del gioco, rendendo essenziale affidarsi a intermediari per ottenere visibilità e clienti. Ma proprio questa dipendenza tecnologica potrebbe ora trasformarsi in un boomerang fiscale.

In un momento in cui il dibattito sulle tasse in Italia si fa sempre più acceso, qualsiasi novità che sembri una riduzione fiscale attira subito attenzione. È il caso della cedolare secca applicata agli affitti brevi, una misura molto discussa che tocca da vicino decine di migliaia di piccoli proprietari. L’impressione iniziale è quella di un vantaggio confermato. Ma il dettaglio, come sempre, è nella clausola.

Molti osservatori avevano letto l’ultima versione della Legge di Bilancio come una vittoria politica per la Lega e Forza Italia, da sempre contrari all’aumento della cedolare secca dal 21% al 26% sulla prima casa affittata per brevi periodi. Una linea difesa per proteggere il proprio elettorato di riferimento. Sembrava tutto risolto, con la cancellazione dell’aumento. Ma la realtà è più sofisticata.

Dietro una norma apparentemente neutra, si cela un’architettura normativa tanto astuta quanto efficace. Una di quelle operazioni che, senza clamore, riescono a ottenere lo stesso risultato di una legge impopolare, ma senza pagarne il prezzo politico. Una finta concessione, che nasconde una limitazione strutturale molto pesante.

Una novità che cambia le carte in tavola

Nel testo finale della manovra economica, il Governo ha formalmente mantenuto l’aliquota agevolata al 21% per gli affitti brevi sulla prima casa. Ma c’è un elemento nuovo e poco evidente: la condizione che l’affitto non venga gestito tramite intermediari. E qui il meccanismo si rivela per quello che è: una trappola fiscale travestita da agevolazione.

Come sottolineato anche nel post Instagram dell’avvocato Angelo Greco, questa clausola è tutt’altro che secondaria. “Se affitti anche solo una volta con Booking o Airbnb, paghi il 26%”, spiega Greco, evidenziando come questa limitazione sia quasi sempre inevitabile. Le piattaforme digitali sono lo strumento principale del mercato degli affitti brevi, e farne a meno è poco realistico.

Affitto
Affitto breve (Canva foto) – www.financecue.it

La condizione che taglia fuori (quasi) tutti

Il risultato? Quasi nessuno potrà realmente beneficiare dell’aliquota ridotta. Basta un solo contratto tramite un intermediario, anche nel corso dell’intero anno, per far decadere il diritto al 21%. Così, la tassa effettiva sale al 26% per la stragrande maggioranza dei proprietari, senza che sia stato dichiarato un vero aumento.

Una strategia che ha permesso al Governo di apparire accondiscendente verso gli alleati, ma che in realtà ha neutralizzato le opposizioni interne e consolidato il gettito fiscale desiderato. La Lega ora promette modifiche in Parlamento, ma l’operazione tecnica è ormai compiuta, silenziosa e letale. Una manovra che mostra come, nel fisco italiano, le condizioni valgano spesso più delle promesse.