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Italia più povera di 20 anni fa, redditi in calo dal 2004: il Paese è fanalino di coda in Europa secondo Eurostat

Italia più povera di 20 anni fa, redditi in calo dal 2004: il Paese è fanalino di coda in Europa secondo Eurostat

In vent’anni, solo Italia e Grecia sono diventate più povere: i dati Eurostat parlano chiaro, ecco cosa dicono.

Negli ultimi vent’anni, l’Unione Europea ha conosciuto una crescita complessiva dei redditi reali dei cittadini. In quasi tutti i Paesi membri, infatti, le persone oggi hanno un potere d’acquisto più alto rispetto al 2004. Ma c’è un’eccezione sorprendente, o meglio, due: la Grecia e l’Italia. Secondo i dati diffusi da Eurostat, sono gli unici due Paesi dove i redditi pro capite reali non solo non sono aumentati, ma sono addirittura diminuiti.

Il dato potrebbe essere meno scioccante per la Grecia, uscita solo da pochi anni da una crisi economica devastante, con un quasi-default e una lunga stagione di austerità imposta dalle istituzioni internazionali. Ma il fatto che l’Italia, terza economia dell’Eurozona, si trovi nella stessa situazione, solleva interrogativi molto più profondi. Un declino silenzioso che si è trascinato per due decenni, spesso ignorato nel dibattito politico ed economico.

Il problema, infatti, non riguarda solo gli stipendi ma il reddito complessivo: quello che le persone possono davvero spendere, tra salari, rendite, investimenti. E mentre in paesi come la Germania o la Francia il benessere medio è cresciuto, in Italia è rimasto fermo o è sceso, rendendo il paragone ancora più impietoso.

Redditi fermi, crescita zero: le cause di un declino annunciato

Dall’analisi emerge che il reddito reale in Italia è calato del 3,9% tra il 2004 e il 2024. Un dato che riflette una stagnazione economica profonda, dove il PIL è cresciuto pochissimo e la produttività è rimasta immobile. Non si tratta di una conseguenza inevitabile delle crisi globali, che pure ci sono state e hanno colpito tutti: in molti altri Paesi europei, infatti, i redditi sono aumentati anche durante i momenti più difficili.

Il nodo è strutturale: l’Italia ha puntato per decenni su settori a bassa redditività, come l’edilizia o il turismo, lasciando indietro industria avanzata, ricerca e digitalizzazione. A questo si aggiunge un tessuto produttivo troppo frammentato, fatto di piccole imprese spesso incapaci di innovare, crescere o esportare.

Stipendi stagnanti, contratti scaduti e sindacati deboli

Un altro elemento chiave è la dinamica salariale: in Italia i lavoratori guadagnano meno e hanno visto gli stipendi aumentare molto meno rispetto ai colleghi europei. Un problema legato anche alla contrattazione collettiva: oggi circa la metà dei dipendenti italiani lavora con un contratto nazionale scaduto. E tra una rinegoziazione e l’altra passano, in media, due anni e mezzo in cui gli stipendi restano congelati.

I sindacati, in questo contesto, hanno avuto difficoltà a ottenere aumenti adeguati al costo della vita, mentre l’inflazione recente, alimentata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, ha ulteriormente eroso il potere d’acquisto. Secondo l’OCSE, l’Italia è tra i Paesi europei con il maggior divario da colmare in termini di adeguamento salariale.

Il risultato è che un’intera generazione si ritrova più povera di quella precedente, nonostante abbia studiato di più e lavorato in condizioni sempre più complesse. E mentre l’Europa avanza, l’Italia sembra restare indietro, silenziosamente.