La nuova trappola degli influencer: tu commenti e loro ti trascinano in tribunale | Sei costretto a pagare 10.000€

Influencer nuove regole (Canva foto) - financecue.it
Un nuovo meccanismo insidioso trasforma i commenti impulsivi sui social in richieste di risarcimento salatissime.
La linea tra libertà d’espressione e rischio legale, nel mondo digitale, si fa sempre più sottile. Basta un commento critico, magari scritto d’impulso, per ritrovarsi al centro di una vicenda legale. Sui social, dove la velocità di reazione supera spesso la riflessione, le conseguenze possono arrivare all’improvviso e con costi inaspettati.
Da tempo si discute sull’uso strategico dei social come strumenti di comunicazione, ma oggi emerge un lato oscuro e studiato di questa dinamica. Alcuni contenuti sembrano costruiti appositamente per attirare reazioni forti, quasi a voler scatenare lo sdegno del pubblico. Non è solo una provocazione: è parte di un piano.
Il confine tra provocazione e speculazione è labile, ma importante. Alcune figure pubbliche stanno utilizzando in modo sistematico la propria esposizione online per generare scontro e raccogliere prove. Ciò che per molti è uno sfogo in un commento, per altri è l’inizio di un guadagno. Un business in piena regola che si regge sull’ingenuità di chi risponde d’istinto.
Spesso chi commenta non si rende conto di quanto una frase apparentemente banale possa essere letta, isolata e usata contro di lui. La macchina legale si mette in moto senza che nessuno se lo aspetti, e quello che era uno scatto polemico diventa una richiesta danni da migliaia di euro. Ma cosa si nasconde davvero dietro questo nuovo fenomeno?
Una strategia costruita
Secondo il post pubblicato su Instagram dall’avvocato Angelo Greco, alcuni influencer starebbero deliberatamente postando contenuti scioccanti o volutamente spinti per provocare reazioni indignate. Il meccanismo è semplice: chi commenta con espressioni come “vergognati” o “fai schifo”, si ritrova dopo poche settimane una lettera da un avvocato. La richiesta? Fino a 10.000 euro per diffamazione.
Come spiega Greco, si tratta di una vera e propria “speculazione sull’odio”, basata sulla paura che le persone hanno di affrontare un processo. In molti, infatti, preferiscono pagare piuttosto che esporsi. Ma nella maggior parte dei casi, dietro queste diffide non c’è alcun processo reale: solo una richiesta economica studiata per spaventare.
Quando il diritto incontra il buonsenso
Fortunatamente, non tutte queste richieste hanno basi solide. La Cassazione ha riconosciuto che il linguaggio sui social è più acceso e diretto rispetto alla comunicazione quotidiana, e che non ogni insulto rappresenta necessariamente una diffamazione perseguibile. L’importante è che non si tratti di attacchi personali gratuiti o calunnie.
Ciò che sta emergendo è un vero e proprio gioco psicologico, in cui l’utente viene spinto a reagire, per poi essere colpito legalmente. Un meccanismo che sfrutta le emozioni e la rabbia del web, trasformandole in una fonte di guadagno. Ma la legge, se interpretata correttamente, può essere una difesa. E prima di pagare, è fondamentale far analizzare ogni richiesta da un avvocato esperto.