Pensione da fame, amara scoperta per chi fa questo lavoro | Ti spetteranno solo 300€ al mese: prenota subito un posto alla Caritas

Pensione lavoro (Canva foto) - www.financecue.it
Crollano i contributi in questo settore: la previdenza rimane una delle criticità più trascurate, rischiano di prendere una miseria.
Nonostante la centralità che molte famiglie attribuiscono alla figura della colf, il lavoro domestico continua a essere percepito come marginale, soprattutto quando si parla di tutele e diritti. In Italia, questa categoria rappresenta una componente stabile del tessuto sociale, eppure rimane spesso ai margini delle politiche previdenziali. La contraddizione è evidente: a fronte di una richiesta costante, i riconoscimenti economici e istituzionali scarseggiano.
Con la fine delle sanatorie post-Covid, il comparto ha registrato una contrazione significativa degli occupati. I numeri parlano chiaro: dal 2021 al 2024 si è perso un bacino di circa 158mila lavoratori.
Ciò che colpisce è che, in un comparto dove quasi il 90% della forza lavoro è femminile, il gender gap gioca al contrario. Le donne guadagnano in media più degli uomini, ma questo non compensa l’assenza di garanzie per il futuro. Se oggi le lavoratrici domestiche riescono a sopravvivere con poco più di 7.800 euro l’anno, la domanda che sorge spontanea è: cosa le aspetta al termine dell’attività lavorativa?
La distribuzione territoriale mostra un’Italia divisa. Le regioni del Nord fanno da traino, con una concentrazione superiore al 50% dei lavoratori. Ma la geografia non salva dalla precarietà: né l’essere in regola né l’operare in aree più ricche garantisce una pensione dignitosa. È in questo scenario che emergono dati che fanno riflettere, e che portano con sé l’amara conferma di una realtà previdenziale dimenticata.
Numeri stabili, ma le certezze calano
Secondo quanto riportato dall’Inps durante l’evento «Il lavoro domestico in Italia», il numero di lavoratori con almeno un contributo versato è sceso del 3% solo nell’ultimo anno, arrivando a 817.403 unità. Questa cifra nasconde però un panorama in trasformazione, dove le «badanti» superano per la prima volta le «colf». Un cambiamento di ruolo che, tuttavia, non si traduce in migliori condizioni previdenziali.
La consigliera dell’Inps, Maria Luisa Gnecchi, ha sottolineato l’esistenza di ampie “zone grigie” nel sistema contributivo per le colf. Molti lavoratori hanno cominciato l’attività negli anni ’90, con percorsi irregolari o frammentati. Questo si riflette oggi in assegni pensionistici che possono toccare appena i 200 o 300 euro mensili, cifre che non permettono una vita autonoma e che costringono molti a cercare aiuti esterni.
Ina realtà ignorata troppo a lungo
Come riportato anche da Italia Oggi in un recente post su Instagram, il caso delle colf mette a nudo la fragilità dell’intero sistema di welfare applicato al lavoro domestico. Non si tratta di un’anomalia isolata, ma della regola per una categoria che, pur essendo essenziale per milioni di famiglie, rimane priva di protezioni concrete. Le pensioni “da fame” non sono eccezioni, ma la diretta conseguenza di una gestione carente e datata.
Molti di questi lavoratori, al termine di una carriera lunga e spesso faticosa, si ritrovano senza una vera prospettiva economica. Il rischio di dover ricorrere alla Caritas o ad altri servizi assistenziali non è affatto remoto.