Home » Fisco » Taglio dell’IRPEF e fiscal drag: perché il ceto medio continuerà a perdere potere d’acquisto

Taglio dell’IRPEF e fiscal drag: perché il ceto medio continuerà a perdere potere d’acquisto

Taglio dell’IRPEF e fiscal drag: perché il ceto medio continuerà a perdere potere d’acquisto

Il taglio dell’IRPEF previsto per il 2025 non sarà sufficiente a compensare il “fiscal drag” accumulato negli ultimi anni.

Secondo le simulazioni della CGIL, per il ceto medio la perdita di potere d’acquisto supera di gran lunga i benefici fiscali. Un tema cruciale per comprendere redditi, welfare e politiche fiscali del futuro.

La discussione sulla riforma fiscale italiana è tornata al centro del dibattito pubblico. Il taglio dell’IRPEF annunciato dal Governo dovrebbe alleggerire il carico fiscale sui redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro. Tuttavia, secondo un’analisi elaborata dall’Ufficio Economia della CGIL nazionale e riportata dal Corriere della Sera, questo beneficio sarebbe molto limitato e non in grado di compensare il cosiddetto fiscal drag maturato nel triennio 2023-2025.

In altre parole: anche se l’aliquota si abbassa, i salari reali non aumentano. E anzi, la perdita di potere d’acquisto accumulata negli ultimi tre anni supera di gran lunga i vantaggi del nuovo taglio fiscale.

Che cos’è il fiscal drag e perché riguarda tutti i lavoratori

Il fiscal drag è un effetto automatico che si verifica quando:

  • i redditi nominali aumentano a causa dell’inflazione;
  • ma gli scaglioni IRPEF rimangono fissi e non indicizzati;

Il risultato? Pur guadagnando di più “sulla carta”, il contribuente:

  • sale di scaglione o paga un’aliquota più alta;
  • ma il suo reddito reale resta invariato o diminuisce.

Questo fenomeno colpisce soprattutto la classe media, ovvero i cittadini che non beneficiano delle agevolazioni fiscali dei redditi bassi, ma non hanno nemmeno la capacità di assorbire aumenti di tassazione come i redditi più alti.

I numeri della CGIL: benefici troppo piccoli, drenaggio molto elevato

L’analisi della CGIL mette a confronto:

  • il drenaggio fiscale subito nel triennio 2023-2025;
  • il beneficio annuo derivante dal taglio della seconda aliquota IRPEF (dal 35% al 33%).

Ecco le simulazioni per diversi livelli di reddito:

Reddito lordo annuo Fiscal drag 2023-2025 Beneficio annuo taglio IRPEF
30.000 € – 2.807 € + 40 €
35.000 € – 3.340 € + 140 €
40.000 € – 3.639 € + 240 €

Le cifre parlano chiaro: il beneficio fiscale è nettamente insufficiente rispetto all’erosione del reddito avvenuta negli ultimi tre anni.

Per chi guadagna 40.000 € lordi

Secondo la CGIL:

  • ha perso 3.639 euro in tre anni;
  • ne recupererà solo 240 all’anno.

Un ritmo troppo lento per colmare il gap.

La posizione della CGIL: senza indicizzazione, il ceto medio si impoverisce

Il sindacato chiede di intervenire sulla struttura dell’IRPEF, sostenendo che:

«Senza neutralizzare il fiscal drag, indicizzando l’IRPEF all’inflazione, il governo non aiuta la classe media, ma ne determina l’impoverimento».

Il segretario confederale Christian Ferrari ha ricordato che il ministro Giorgetti ha dichiarato che «con 40.000 euro lordi non si è ricchi». Tuttavia, secondo la CGIL, questa consapevolezza non si traduce in misure fiscali adeguate.

Le analisi divergenti: BCE e Università Cattolica vedono un quadro diverso

Non tutti gli economisti interpretano il fiscal drag allo stesso modo. Esistono due prospettive principali:

1. La visione BCE / Osservatorio Conti Pubblici (Università Cattolica)

Queste analisi sostengono che:

  • le riforme fiscali dal 2020 al 2023 avrebbero più che compensato il fiscal drag complessivo;
  • il gettito fiscale aggiuntivo generato dall’inflazione sarebbe stato “restituito”.

L’Osservatorio stima che:

  • il fiscal drag dal 2019 al 2023 sia stato pari a 12,2 miliardi;
  • ma che le riforme fiscali dello stesso periodo lo abbiano interamente neutralizzato.

2. L’analisi di Lavoce.info (Leonardi e Rizzo)

Secondo questa interpretazione:

  • i redditi sotto i 35.000 euro hanno ricevuto più benefici;
  • chi guadagna oltre 35.000 euro ha avuto riduzioni fiscali minime.

Il motivo della divergenza sta nel metodo di misurazione:

  • la BCE considera il fiscal drag solo in presenza di aumenti nominali;
  • Lavoce.info ritiene che il fiscal drag esista anche quando il reddito nominale è fermo, perché l’inflazione riduce comunque il potere d’acquisto e il contribuente dovrebbe “scendere” di scaglione.

Perché il fiscal drag è un problema strutturale

Il nodo principale è che l’IRPEF italiana non è indicizzata all’inflazione.

In molti Paesi OCSE gli scaglioni fiscali vengono adeguati automaticamente ogni anno. In Italia no: il sistema resta fermo, mentre prezzi e salari cambiano, creando distorsioni.

Di conseguenza:

  • lo Stato incassa di più senza cambiare le aliquote;
  • i lavoratori perdono potere d’acquisto anche se lo stipendio cresce;
  • il ceto medio risulta il più penalizzato.

Quali sarebbero le soluzioni?

1. Indicizzare l’IRPEF

Una proposta sostenuta da sindacati e parte degli economisti:

  • aggiornamento annuale degli scaglioni;
  • neutralizzazione automatica del fiscal drag;
  • maggiore stabilità dei redditi reali.

2. Ridisegnare le aliquote

Una riforma strutturale potrebbe prevedere:

  • più scaglioni ma differenze meno drastiche;
  • aliquote più progressive ma più eque;
  • riduzione del peso fiscale sul lavoro dipendente.

3. Potenziare le detrazioni per il lavoro

Un modo per sostenere il ceto medio senza ridurre massicciamente le entrate statali.

Come inciderà tutto questo su economia e finanza?

Il fiscal drag ha effetti non solo sui redditi, ma su:

  • consumi interni, principale motore dell’economia italiana
  • risparmio, già eroso dall’inflazione
  • stabilità sociale, perché il ceto medio è l’asse portante del Paese
  • mercati: meno reddito disponibile = minori investimenti e minor domanda

Per un’Italia che punta sulla crescita, ignorare questi fattori può essere rischioso.

Il taglio dell’IRPEF è un primo passo, ma non una soluzione

Il taglio fiscale del 2025 potrà portare un beneficio, ma troppo limitato per compensare il drenaggio accumulato.

Il nodo vero resta il fiscal drag.

Finché l’IRPEF non sarà riformata in modo strutturale, indicizzazione, nuovi scaglioni, o maggiori detrazioni, il ceto medio continuerà a perdere potere d’acquisto, alimentando un circolo vizioso che pesa su famiglie, imprese e sull’intero sistema economico.

Capire questi meccanismi non è solo utile: è essenziale per chi prende decisioni finanziarie e per chi vuole comprendere davvero la direzione della politica economica italiana.