L’inflazione torna a salire nell’eurozona mentre i rendimenti obbligazionari crescono. Cosa significa per risparmio, credito e debito pubblico in Italia ed Europa.
Secondo Eurostat, l’inflazione nell’area euro è salita al 2,2% a novembre 2025, in lieve aumento rispetto al 2,1% di ottobre. Sebbene resti in prossimità del target del 2% fissato dalla Banca Centrale Europea (BCE), il dato ha colto di sorpresa parte dei mercati, che iniziavano a scontare un rallentamento più marcato.
Parallelamente, si è assistito a un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato in gran parte dell’Europa. Questo rialzo non è legato a un picco inflattivo improvviso, ma a un complesso processo di riposizionamento globale degli investitori, spinto anche dai tassi crescenti in Giappone e dalla maggiore selettività sul rischio sovrano.
In questo scenario, la BCE ha indicato che manterrà verosimilmente i tassi di interesse stabili per diversi mesi, portando il costo del denaro nominale in eurozona attorno al 4%. Ma la stabilità ufficiale non si traduce automaticamente in stabilità finanziaria. Al contrario: il nuovo equilibrio rischia di amplificare fragilità latenti nei mercati obbligazionari, nei bilanci pubblici e nelle scelte di portafoglio.
Il 2025 ha segnato un punto di svolta per il mercato obbligazionario europeo. Dopo anni di tassi negativi o vicini allo zero, i rendimenti sono tornati su livelli che molti investitori retail e istituzionali non vedevano da oltre un decennio.
I titoli di Stato decennali italiani (BTP) offrono a fine novembre 2025 un rendimento lordo attorno al 4,4%, con i Bund tedeschi poco sopra il 2,6%. In apparenza, si tratta di una fase favorevole al ritorno della componente obbligazionaria nei portafogli. Tuttavia, l’incremento dei rendimenti non è privo di conseguenze tecniche e sistemiche:
In questo quadro, il rendimento positivo va letto anche in funzione del rischio. Le obbligazioni tornano centrali nella gestione di portafoglio, ma richiedono un’attenta valutazione della sostenibilità del debito sovrano e delle aspettative inflattive a medio termine.
Nonostante il blocco dei tassi ufficiali, il costo del credito bancario continua a risalire, riflettendo il contesto obbligazionario e il pricing del rischio effettuato dalle banche. Questo impatta direttamente su mutui, prestiti alle imprese e finanziamenti pubblici.
Nel caso dell’Italia, con un debito pubblico pari al 139% del PIL (dati MEF aggiornati al Q3 2025), ogni incremento dello 0,5% nel costo medio del debito si traduce in miliardi di euro aggiuntivi da finanziare in legge di bilancio nei prossimi anni. Inoltre, secondo Banca d’Italia:
Questo implica un raffreddamento dell’attività immobiliare, un indebolimento del credito commerciale e una maggiore difficoltà per le famiglie nel sostenere consumi o nuovi investimenti. L’effetto macro complessivo è una stretta creditizia latente, invisibile nei tassi ufficiali ma concreta nei bilanci aziendali e domestici.
La combinazione di rendimenti crescenti e debiti pubblici elevati riporta l’attenzione sulla sostenibilità fiscale e finanziaria di diversi paesi europei. Non solo quelli tradizionalmente vulnerabili: il rischio si estende anche a stati con rating elevato ma esposizione esterna elevata (es. Francia).
Tre fattori alimentano il potenziale stress:
Secondo Morgan Stanley e JPMorgan, i mercati obbligazionari europei potrebbero essere esposti a nuovi episodi di “contagio da duration”: vendite su paesi ad alto debito possono propagarsi anche ai titoli core, attraverso fondi multi-country, ETF e derivati su tasso swap. La gestione dei picchi di volatilità sarà dunque cruciale per evitare effetti pro-ciclici sulla politica fiscale.
Per i cittadini, le implicazioni di questo scenario vanno ben oltre i titoli dei giornali economici. Il rialzo dei tassi reali (al netto dell’inflazione) modifica le abitudini di risparmio, la composizione dei portafogli familiari e la propensione al debito.
Le principali ricadute sono:
Inoltre, i consulenti finanziari rilevano un crescente interesse per prodotti a capitale protetto, piani di accumulo obbligazionari e forme ibride che combinano cedola e protezione dal drawdown. Il 2026 potrebbe segnare un ritorno alla gestione passiva a basso rischio, dopo anni di sovraesposizione all’equity.
In questo contesto ibrido, le autorità monetarie devono mantenere un delicato equilibrio tra controllo dell’inflazione e stabilità dei mercati. La BCE, con i tassi fermi ma l’inflazione ancora vicina al target, si trova in una posizione complessa:
Per l’Italia, la sfida è duplice: gestire il debito pubblico in un contesto di rendimenti elevati e stimolare la crescita senza compromettere la credibilità fiscale. Il Documento di economia e finanza (DEF) 2025-2027 prevede un graduale consolidamento, ma ogni deviazione sarà attentamente osservata dai mercati.
Il 2025 ha riportato il sistema finanziario europeo a una condizione di normalizzazione apparente: inflazione sotto controllo, tassi stabili, spread contenuti. Ma sotto la superficie si muovono tensioni strutturali che potrebbero deflagrare in presenza di shock esogeni o errori di policy.
L’interazione tra tassi, obbligazioni, credito e debito crea un sistema ad alta interdipendenza. Per investitori, policymaker e risparmiatori, la sfida sarà riconoscere i segnali deboli e adattarsi a un ciclo in cui le decisioni prese oggi avranno impatti cumulativi nei prossimi 3-5 anni. L’Italia, con la sua esposizione al debito e la vulnerabilità al costo del credito, sarà al centro di questa nuova fase dell’economia europea