Carta di credito (Depositphotos foto) - www.financecue.it
Anche quando pensiamo di controllarci, finiamo per spendere troppo: il motivo è tutto nei meccanismi invisibili della mente.
C’è una domanda che ci facciamo tutti prima o poi, magari con lo scontrino ancora in mano: perché ho comprato questa cosa? La risposta, a volte, non è affatto semplice. Non si tratta solo di bisogno o capriccio. Ci sono meccanismi mentali ben più sottili, che ci spingono a riempire il carrello senza nemmeno accorgercene. E spesso lo facciamo per sentirci meglio, per distrarci, o solo per colmare un vuoto. In fondo, il marketing gioca proprio su questo: tocca le nostre corde emotive più profonde, quelle che ci spingono ad agire senza pensarci troppo.
Capita di uscire per comprare il latte e tornare con un paio di scarpe. Succede. Il problema è che, nella maggior parte dei casi, quello che acquistiamo non ci serve davvero. Lo facciamo per una forma di gratificazione, per appagare una tensione interna o per regalarci un momento di leggerezza. Ma dietro a tutto questo c’è anche una questione di immagine: come vogliamo apparire agli occhi degli altri. E qui il portafoglio si apre, anche quando non dovrebbe.
Non si tratta solo di gusti personali o preferenze. Spesso ciò che compriamo riflette l’idea che vogliamo trasmettere agli altri. L’abbigliamento, i gadget, perfino gli oggetti per la casa parlano di noi. Costruiscono un’identità pubblica. In un certo senso, ogni acquisto è una specie di messaggio che mandiamo al mondo. Il punto è che quel messaggio costa — e a volte anche caro.
Viviamo in una società che ci dice chiaramente: se spendi, vali. Consumare è sinonimo di successo. Quindi, anche se razionalmente sappiamo che potremmo fare a meno di qualcosa, scatta quel bisogno di dimostrare chi siamo (o chi vorremmo essere). E a quel punto, la carta di credito diventa un’estensione del nostro ego.
Ekant Veer, professore di marketing all’Università di Canterbury e specialista in comportamento del consumatore, lo dice senza mezzi termini, come riporta Rnz: la psicologia è l’arma più potente del marketing. Quando stiamo per acquistare qualcosa, anche se non abbiamo problemi economici, dovremmo chiederci: “mi serve davvero o sto cercando qualcos’altro?”. Ma il nostro cervello, spesso stanco o sotto pressione, non fa questo tipo di ragionamento.
Lo stato d’animo con cui entriamo in un negozio o navighiamo online ha un peso enorme. Se siamo nervosi, giù di corda o esausti, è facile cadere nella trappola del “mi merito un regalo”. E il mercato lo sa bene. Ci hanno abituati a vedere il consumo come una forma di autogratificazione. Se poi ci aggiungiamo il fatto che detestiamo perdere un’occasione, il quadro è completo. “Meglio prenderlo ora, prima che finisca”, ci diciamo. E intanto, il budget se ne va.
Il vero nodo, però, sta in due concetti psicologici molto potenti. Il primo si chiama avversione alla perdita. Secondo Kahneman e Tversky, due psicologi che nel ’79 vinsero un Nobel per questa teoria, temiamo molto di più perdere qualcosa che già abbiamo, rispetto al non ottenere qualcosa di nuovo. I pubblicitari lo sanno e costruiscono messaggi che fanno leva proprio su questa paura. Ed ecco che il “non lasciartelo sfuggire” funziona alla perfezione.
Il secondo concetto è il present bias, cioè la tendenza a preferire una gratificazione immediata invece di aspettare una ricompensa futura, anche se più vantaggiosa. Come combatterlo? Veer propone soluzioni semplici, ma efficaci: usare i contanti invece delle carte, perché fisicamente sentire il denaro uscire dalle mani ci rende più prudenti. Oppure, tenere un diario degli acquisti per capire cosa ci spinge davvero a comprare. Anche un vecchio barattolo trasparente per risparmiare può fare miracoli, perché ci mostra i nostri progressi in modo tangibile. Alla fine, non è che siamo deboli o ingenui: siamo immersi in un sistema che sa benissimo dove colpire. E lo fa, ogni giorno, in modo silenzioso ma costante.