Manette ai polsi per aver condiviso un meme: 30 arresti al giorno a causa dei social | Stiamo vivendo in una dittatura

Polizia (Canva foto) - www.financecue.it
Quando una battuta diventa un reato: la libertà sotto pressione nel mondo digitale, sembra di stare in una dittatura.
Nel dibattito pubblico italiano si parla sempre più spesso di limiti alla libertà di espressione e censura quasi invisibile. In un’epoca in cui ogni frase può diventare virale, il confine tra satira e “reato digitale” sembra assottigliarsi. Una battuta, un meme, un post: tutti potenzialmente sotto la lente del controllo.
Molti osservatori denunciano che oggi la pressione su ciò che si può dire online sta crescendo, e che le conseguenze non sono soltanto reputazionali. Il timore è che lo spazio del dissentire — dell’ironia critica — venga accorciato da norme, auto‑censure o da interpretazioni restrittive del diritto al dissenso.
Voci critiche parlano di “una dittatura silenziosa” che non si manifesta con carri armati, ma con blocchi digitali, segnalazioni, rimozioni e intimidazioni. In questo contesto, il post Instagram di Andrlmbrd afferma: “Siamo tutti in Iran. Non c’è bisogno di andare là, è l’Iran che è venuto in Europa.
Ed ecco il risultato.” Tale dichiarazione viene utilizzata per denunciare una deriva liberticida nella nostra società.
Libertà di parola in Italia: tensioni e vincoli impliciti
In Italia la libertà di espressione è formalmente garantita dalla Costituzione, ma non è mai stata illimitata: esistono limiti per diffamazione, istigazione all’odio e sicurezza nazionale. Nel contesto online, queste restrizioni assumono forme complesse: regolamenti delle piattaforme, algoritmi di moderazione, segnalazioni politiche o di terzi, e pressioni sociali possono tradursi in de facto censure. Negli ultimi anni si sono registrati casi in cui utenti sono stati denunciati, multati o minacciati per contenuti pubblicati sui social, suscitando allarmi tra giornalisti e associazioni che tutelano la libertà digitale.
In questo scenario, parlare di “manette ai polsi” assume un significato simbolico: un avvertimento che ogni parola condivisa in Rete può essere soggetta a conseguenze legali o amministrative, anche laddove l’intento fosse satirico o ironico. La gestione dei contenuti connessi a idee non conformi può cambiare repentinamente in base al contesto politico, alle priorità governative e alle pressioni internazionali.
Cosa sappiamo (e cosa non sappiamo) del caso “30 arresti al giorno”
Il post Instagram citato — che sostiene la presenza di una “dittatura europea” simile all’Iran — è anzitutto espressione di denuncia politica e non offre dati verificati.
Alla luce di ciò, la notizia — se intesa nel senso del titolo — va trattata con cautela: può riflettere paure diffuse e un sentimento reale di limitazione delle libertà, ma non costituisce prova concreta di un piano sistematico di repressione quotidiana. In assenza di conferme verificabili, occorre distinguere tra denuncia politica e dato oggettivo.