Usare le malattie per andare in gita in montagna: non serve mentire al capo, tanto non si può rifiutare | È tutto pagato dallo Stato
        Coppia in montagna (Canva foto) - www.financecue.it
Non sempre il tempo libero coincide con sospetti di assenza ingiustificata: i giudici lo hanno chiarito una volta per tutte.
Chi lavora sa bene che ogni pausa o richiesta di permesso può generare commenti o malintesi. A volte basta una foto sui social o una voce di corridoio per mettere in dubbio la serietà di un dipendente. Eppure la realtà del diritto del lavoro è molto più sfaccettata di come viene percepita.
Le norme che regolano i permessi non nascono per concedere privilegi, ma per bilanciare esigenze personali e impegni professionali. Quando si parla di assistenza a un familiare, entra in gioco una responsabilità che non può essere racchiusa nelle sole ore lavorative. È proprio in questo spazio che la giurisprudenza ha messo un punto fermo.
Molti datori di lavoro credono che il controllo visivo o il sospetto bastino per avviare provvedimenti disciplinari. Tuttavia, le corti hanno più volte stabilito che le prove devono essere concrete. Non basta cogliere un dipendente al bar o in una località turistica per dimostrare l’abuso di un diritto previsto dalla legge.
Il tema non riguarda solo chi usufruisce dei permessi, ma tocca anche la fiducia reciproca all’interno del luogo di lavoro. Equilibrio e tutela sono le parole chiave: da un lato la necessità di garantire l’assistenza, dall’altro la protezione del lavoratore da accuse infondate.
Quando la legge difende il tempo del lavoratore
I cosiddetti permessi 104 rappresentano uno degli strumenti più importanti per chi si prende cura di un familiare invalido. La normativa stabilisce che queste giornate non siano destinate esclusivamente a un orario fisso: l’assistenza può svolgersi anche la sera o di notte. Proprio per questo la Corte di Cassazione ha ribadito che non è illecito, durante tali permessi, recarsi in altri luoghi.
Come sottolineato nel post Instagram di Lavvokatissimo, non si può ridurre l’assistenza a un orario d’ufficio. Se il lavoratore organizza diversamente la sua giornata, non commette alcuna violazione. Per i giudici contano i fatti: la semplice presenza al mare o in montagna non costituisce abuso, poiché ciò non esclude che l’assistenza sia svolta in altri momenti.

La sentenza che cambia la prospettiva
La Cassazione è stata netta: foto, sospetti o segnalazioni non bastano a dimostrare che un dipendente stia utilizzando in modo scorretto i permessi 104. Serve la prova concreta che non venga prestata alcuna assistenza al familiare. Senza questo requisito, il licenziamento risulta illegittimo.
Il principio affermato dalla Corte nel 2025 rafforza la posizione di lavoratori e caregiver. Non è un via libera agli abusi, ma un riconoscimento del fatto che i diritti non possono essere compressi da pregiudizi. Chi si prende cura di un familiare invalido conserva la possibilità di vivere anche momenti di normalità, senza il timore di un controllo ingiustificato.
