Gli stranieri tornano a rubarci il lavoro: ti hanno messo in smart? Allora sei in pericolo | Hanno deciso di rimpiazzarti

Smartworking (Canva foto) - www.financecue.it
Sfruttamento, lavoro in nero e nuove strategie aziendali stanno cambiando il mercato del lavoro: l’allarme per chi lavora in smart.
In molte città italiane il mercato del lavoro è segnato da una realtà difficile da ignorare: migliaia di stranieri trovano impiego in condizioni precarie, accettando salari bassissimi pur di non restare esclusi. In settori come l’agricoltura, l’edilizia o la ristorazione, non è raro imbattersi in storie di chi lavora dodici ore al giorno per poche decine di euro.
Il fenomeno del lavoro nero è parte integrante di questa dinamica. Non solo priva i lavoratori di tutele e diritti fondamentali, ma alimenta un sistema che favorisce chi sfrutta e penalizza chi cerca un’occupazione regolare. Gli stranieri diventano spesso l’anello più debole, costretti a scelte che non garantiscono né stabilità né futuro.
C’è poi l’aspetto sociale, altrettanto pesante: la percezione che questi lavoratori “rubino” opportunità agli italiani. Una narrazione diffusa che ignora il vero problema, ossia la mancanza di controlli e la volontà di alcune imprese di risparmiare a ogni costo. In questo contesto, lo sfruttamento diventa un paradossale strumento di competitività.
Il risultato è un mercato frammentato, in cui chi accetta condizioni degradanti ha accesso al lavoro, mentre chi rifiuta viene automaticamente escluso. E mentre i lavoratori stranieri si ritrovano a sopportare il peso dello sfruttamento, nuove strategie aziendali stanno iniziando a ridisegnare il concetto stesso di occupazione.
Quando lo smart working diventa un test
Con la diffusione del lavoro da remoto, molte aziende hanno colto un’opportunità inaspettata. Lo smart working, nato come soluzione di emergenza e poi consolidato come modalità flessibile, può trasformarsi in uno strumento di valutazione. Permette infatti di capire quali mansioni possano essere svolte al 100% senza presenza fisica.
Una volta individuati i compiti che non richiedono uffici o incontri dal vivo, alcune imprese iniziano a chiedersi se valga davvero la pena pagarli alle tariffe italiane. La tentazione di spostarli altrove diventa forte, soprattutto in un contesto di concorrenza globale e ricerca continua di riduzione dei costi.
Il rischio di essere sostituiti
Come sottolineato dal profilo Instagram The_jashi_project, “lo smart working è semplicemente un metodo per le aziende per capire se un lavoro può essere fatto al 100% da remoto e poi delegarlo a qualcuno all’estero e pagare una frazione di quello che paga in Italia”. Una frase che evidenzia con chiarezza il pericolo di una delocalizzazione silenziosa.
Il rischio è concreto: i dipendenti che oggi lavorano da casa potrebbero trovarsi domani sostituiti da personale estero sottopagato, scelto non per competenze ma per costi più bassi. Un meccanismo che, se da un lato sembra premiare l’efficienza, dall’altro rischia di generare nuove forme di precarietà e disuguaglianza nel mondo del lavoro.