Illustrazione di alcune bandiere americane (Canva FOTO) - financecue.it
I dazi hanno effetti non solo sugli altri stati, ma anche (e soprattutto) negli Stati Uniti d’America. E anche l’inflazione accelera!
Negli Stati Uniti i prezzi stanno di nuovo accelerando. A giugno 2025, come riportato dal Bureau of Labor Statistics, l’inflazione ha segnato un +2,7% su base annua, ben al di sopra delle attese. Era da aprile che non si registrava una spinta simile, e questa inversione di rotta sta già accendendo nuove discussioni sulla prossima mossa della Federal Reserve. In molti si aspettavano un rallentamento, e invece no.
Il dato è salito rispetto al 2,6% di maggio e ha sorpreso sia analisti che mercati. Una fiammata che, a quanto pare, dipende in larga parte dal caro-servizi, in particolare alloggi e sanità. L’energia, invece, ha giocato un ruolo secondario. Il punto è che il target della Fed, quel famoso 2%, sembra ancora distante, e la strada per arrivarci tutt’altro che lineare.
Anche il cosiddetto “core CPI”, cioè l’inflazione depurata dalle componenti più volatili come cibo ed energia, ha registrato un +2,8% su base annua. Un numero importante, che conferma una certa tenacia nella crescita dei prezzi. Su base mensile, sia l’inflazione generale che quella core sono cresciute dello 0,2%.
La Fed, che aveva dato segnali di una possibile riduzione dei tassi entro fine anno, adesso si trova di fronte a un dilemma. Scommettere sul raffreddamento dell’economia o mantenere la stretta più a lungo? Intanto, anche i rendimenti dei Treasury americani hanno reagito: quello a 10 anni è salito sopra il 4,3%, mentre il dollaro ha guadagnato terreno sull’euro.
A fornire tutti i dati è stato il Bureau of Labor Statistics. Nel report pubblicato il 15 luglio si legge che l’indice dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato dello 0,2% rispetto a maggio e del 2,7% rispetto a giugno 2024. Ma è l’inflazione “core” che interessa di più alla Fed: lì l’incremento è stato dello 0,2% mese su mese e del 2,8% su base annua. La spinta maggiore arriva dai servizi, in particolare quelli legati all’abitazione, che sono aumentati dello 0,4% in un solo mese. Anche l’assistenza sanitaria (+0,5%) e i trasporti (+0,3%) hanno contribuito.
Il comparto energia, sorprendentemente, è rimasto quasi piatto, con un +0,1%. Ma è un equilibrio fragile: basta una fiammata nel prezzo del petrolio per rimescolare le carte. Sul fronte alimentare, la crescita è stata contenuta, con +0,2%. Insomma, l’inflazione americana non è fuori controllo, ma nemmeno addormentata. Per gli investitori, la reazione è stata immediata: il rendimento del decennale è salito, mentre i mercati azionari hanno registrato movimenti nervosi, oscillando tra ottimismo e cautela.
Come riportato da Bureau of Labor Statistics, per la Federal Reserve, il messaggio è chiaro: la strada per tornare al 2% è ancora irta. E infatti, nelle dichiarazioni più recenti, alcuni esponenti del board hanno smorzato le aspettative di tagli immediati. La speranza è che l’inflazione si raffreddi nel terzo trimestre, magari aiutata da un rallentamento dei consumi e dal mercato del lavoro meno euforico.
I mercati, però, restano divisi. Qualcuno scommette ancora su un primo taglio a settembre, altri rimandano tutto a dicembre, o addirittura al 2026. Di sicuro, sarà l’andamento dei prezzi nei prossimi mesi a dettare la linea. Per ora, i tassi resteranno dove sono: alti, sì, ma necessari per tenere sotto controllo una dinamica che, se lasciata correre, potrebbe rivelarsi molto più difficile da domare.