Lavoro, vietato stressare i dipendenti | I datori sono stati avvisati: con la nuova Legge fanno tutti una finaccia

Non puoi più stressare un lavoratore (Canva) - financecue.it
Qualsiasi situazione vessatoria, potrebbe non esser più perdonata. Quindi, i datori di lavoro dovranno state zitti!
Il burnout è una condizione di esaurimento emotivo, fisico e mentale, causata da stress prolungato soprattutto in ambito lavorativo. Il quale, nello specifico, non si tratta di semplice stanchezza, ma di un vero e proprio stato di logoramento, che può compromettere il benessere generale.
E fra le cause più comuni, ci son carichi di lavoro eccessivi, mancanza di riconoscimento, ritmi insostenibili, e conflitti sul posto di lavoro. E anche il senso di inefficacia, o la percezione di non avere controllo, possono contribuire al malessere.
Difatti, i sintomi del burnout includono affaticamento cronico, irritabilità, distacco emotivo, calo della produttività, e difficoltà di concentrazione. Facendo sì che chi ne soffre, si senta svuotato, disilluso e privo di motivazione.
In ogni caso, il burnout è purtroppo in aumento, specialmente nelle professioni ad alta pressione. Motivo per cui, riconoscerlo e affrontarlo precocemente è essenziale, proprio per tutelare la salute mentale e fisica di ogni singolo dipendente.
Un caso significativo
La vicenda oggetto della sentenza n questione, riguarda una USL, ma i principi affermati dalla Cassazione, hanno invece valore generale. Infatti, il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile per non aver gestito in modo adeguato, una situazione lavorativa conflittuale e stressante. Così che la Corte sottolineasse che, persino in assenza di vero e proprio mobbing, possa configurarsi invece lo “straining” (forma di stress determinato da comportamenti vessatori, messi in pratica dal datore di lavoro), se il clima lavorativo risulta appunto dannoso, per la salute psico-fisica del dipendente.
Nello specifico, il direttore generale della USL aveva avviato un processo di riorganizzazione il quale prevedeva la soppressione dell’ufficio legale, diretto da un’avvocatessa. E nonostante la legittimità dell’intervento, son tuttavia emerse tensioni personali e scambi provocatori, fra la dirigente e la lavoratrice. In tal modo, la Corte ha rilevato che il datore avrebbe dovuto intervenire per ristabilire l’equilibrio, e quindi prevenire conseguenze dannose.
La responsabilità datoriale, oltre il mobbing
La Cassazione ha pertanto ribadito che comportamenti formalmente leciti, possono produrre effetti stressogeni e dannosi. E in base all’art. 2087 c.c., il datore è responsabile se tollera, anche solo per negligenza, un ambiente lavorativo lesivo, del benessere dei dipendenti, a prescindere dall’intento vessatorio.
Per questo, la sentenza n. 123/2025, afferma che i datori di lavoro devono tutelare maggiormente i dipendenti più fragili. Dal momento che la loro vulnerabilità non riduce, ma accresce, il dovere datoriale (valore che un datore di lavoro, attribuisce o investe in un dipendente, o nell’azienda stessa), così da prevenire situazioni lavorative potenzialmente dannose, per la salute e la dignità personale.